Lettera a Vittorio Feltri
Gentile Direttore,
Le scrivo tentando un breve scambio di opinioni sul suo ultimo editoriale, quello sui “bamboccioni adorabili”.
Tra le varie cose che ci tengono distanti (ma che proprio per questo mi spingono a comprare spesso il suo giornale) c’è evidentemente una diversa concezione dell’idea e del valore dell’autonomia. Pur comprendendo alcuni passaggi del suo ragionamento – un ragionamento immagino provocatorio di un padre affezionato e ricco – non posso condividere il suo giudizio conclusivo e anzi credo debba essere ribaltato. Lei fa dei bamboccioni compagnia adorabile, io li considero vittime, spesso inconsapevoli.
È vero, come lei stesso racconta, che a casa dei genitori si può anche star bene. Non sempre è così, e molto dipende dalle condizioni economiche e sociali della famiglia di origine, ma lo è spesso. A casa sua poi si deve stare proprio come re e regine, se anche i rapporti amorosi del bamboccione di turno si fanno così semplici e trovano adeguati spazi di crescita. Immagino però che casa sua sia una casa grande dove ognuno ha i suoi spazi, le sue cose e dove c’è modo di stare un po’ soli, di godere della propria privacy.
Tra le varie cose che ci tengono distanti (ma che proprio per questo mi spingono a comprare spesso il suo giornale) c’è evidentemente una diversa concezione dell’idea e del valore dell’autonomia. Pur comprendendo alcuni passaggi del suo ragionamento – un ragionamento immagino provocatorio di un padre affezionato e ricco – non posso condividere il suo giudizio conclusivo e anzi credo debba essere ribaltato. Lei fa dei bamboccioni compagnia adorabile, io li considero vittime, spesso inconsapevoli.
È vero, come lei stesso racconta, che a casa dei genitori si può anche star bene. Non sempre è così, e molto dipende dalle condizioni economiche e sociali della famiglia di origine, ma lo è spesso. A casa sua poi si deve stare proprio come re e regine, se anche i rapporti amorosi del bamboccione di turno si fanno così semplici e trovano adeguati spazi di crescita. Immagino però che casa sua sia una casa grande dove ognuno ha i suoi spazi, le sue cose e dove c’è modo di stare un po’ soli, di godere della propria privacy.
Immagino che casa sua conceda spazi di autonomia, e per questo credo il nostro giudizio sui bamboccioni sia così distante. Però, direttore, non è sempre così. Anzi lo è molto raramente.
Vede, io credo che la crescita sia tutto e che questa passi obbligatoriamente per la conquista di spazi propri. In una gabbia, per quanto dorata, è difficile spiccare il volo. E allora preferisco la mansarda con le travi a vista che lei tanto teme. Preferisco un frigo semivuoto e le magliette stropicciate. Preferisco il rancio da caserma e sono pronto a rinunciare ai migliori sughi della mamma, se questo significa conquistare la mia autonomia. È una conquista che ha dei costi, lo sappiamo tutti, ma anche molti benefici. Andare fuori di casa non può certamente essere imposto per legge come vorrebbe il ministro Brunetta, ma le assicuro farebbe proprio bene ai giovani poterlo anche solo immaginare. Farebbe bene ai giovani e farebbe bene al paese.
I bamboccioni sono vittime, per nulla adorabili. Sono vittime di un paese che non offre loro niente. Nessun servizio, nessun incentivo. È questo il tema. Il vero problema non è stabilire se a casa con mamma e papà si sta bene o male. Bisogna stabilire se in questo paese un giovane ha o meno la possibilità di scegliere tra questa famosa mansarda e la casa natale. Caro Direttore sono sicuro che se lei la mettesse a disposizione per davvero sarebbero migliaia i giovani felici di abitare il “suo” bilocale mansardato. Farebbero a botte pur di cenare con gli scarti di un frigo semivuoto. E non perché si sia perso il gusto di una buona gastronomia, ma perché l’autonomia per i giovani è un bisogno fisiologico. Nessuno è “contento” di stare a casa con i genitori, ma in molti si accontentano perché quella mansarda non c’è.
Luca Sappino
Sel Roma
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