domenica 24 gennaio 2010

L'ANOMALIA GENTILE di G.MIGLIORE

La mattina delle primarie svegliarsi a Bari vecchia è un viaggio verso Sud.
Verso uno di quei sud che ieri sera, a Piazza Prefettura, Nichi Vendola ha raccontato a tanta gente, che ha sfidato un freddo implacabile per ascoltare l’ultimo atto di questa campagna lampo per decidere il candidato che sfiderà la destra alle prossime regionali.
Nunzia si affaccia alla finestra di uno di quei palazzetti incastrati nella storia di una città crocevia del Mediterraneo per salutare con un sorriso Nicola e già si sente una musica che farà da colonna sonora alla sua giornata.
Ci dice “fino a che ora si vota? Siamo in sei in famiglia” e aggiunge “ma che ci dobbiamo fare di quello lì!”. Non lo dice con acrimonia, né con senso di sfida. Racconta la sua personale percezione di una storia che risuona sotto il vicolo di casa sua e che, come non mai, appare lontana dai salotti televisivi, come quello di Fabio Fazio ieri, che ha invitato, in ossequio alla “vocazione maggioritaria”, un solo protagonista di queste primarie pugliesi, solo quello del Pd, Massimo D’Alema.
È lontana la sua storia di vita, lei che fa le pulizie o la mamma che frigge la polenta all’angolo, dalle alchimie delle nuove alleanze con i “centristi”. Per lei di nuovo c’è un pezzo di questa città che si è letteralmente “illuminata”, dopo decenni di buio e degrado. Per questo pezzo di sud, che non ha dovuto lasciare casa propria per trasferirsi in una delle sterminate periferie che hanno assediato le nostre città, l’incontro con la politica è avvenuto in tanti modi. È stato per tanti anni il potente inaccessibile, quello verso il quale mostrare timore e reverenza mentre bordeggiava in auto blu il suo quartiere “malfamato” e poi, però, è diventato l’esperienza di una presenza “normale”, fatta di diritti e di accesso alla cittadinanza. Nunzia, come tutti qui in Puglia, il presidente Vendola lo chiama per nome e gli da del tu, non si spaventa al suo passaggio ma ne approfitta per raccontargli che è precaria e che come lei stanno i suoi fratelli e che però bisogna fare di più, ancora di più, per “risolvere” i problemi di tutti i giorni.
È ben strana questa vicenda delle primarie se la si legge con gli occhiali sbagliati. Se la si interpreta con i riti della politique politicienne, se si confonde il genuino rapporto con le persone con la ferocia del personalismo populista e proprietario. A dire il vero, non credo che sia una confusione sincera, dettata da un’autentica dedizione alla religione dell’umiltà e della partecipazione democratica. È piuttosto un fuori schema, un modo completamente diverso di coltivare l’ambizione di molti, tanti sfiduciati dalla vecchia politica, di costruire un’alternativa alla destra.
È il leitmotiv di una campagna “primaria”: “solo con(tro) tutti” o “coalizione larga”. Eppure la larghezza dipende da come la si misura. La sensazione più diffusa tra gli osservatori accorsi a frotte a prender nota del “fenomeno” e tra le persone che si incontrano per strada, è che la tanto decantata larghezza di sigle sia una scatola vuota, che la destra incalzerebbe con un potente richiamo al ripristino dello status quo ante, mentre la larghezza della coalizione di Vendola si racconta con i nomi e le facce che lo accompagnano sulle foto della sua campagna.
È una larghezza tutt’altro che proterva, ha il pudore di chi non si vuole abituare alla “vertigine del potere” e l’entusiasmo di chi ha l’occasione di provare che è possibile dimostrare a tutti che le idee di cambiamento non valgono solo come slogan buoni per l’opposizione.
Ma questa competizione non è “primaria” solo per la Puglia, lo è per i destini della futura alleanza contro le destre. Conquistare l’elettorato, anche quello che ha votato a destra, alle proposte della sinistra o aggiungere pezzi di ceto politico spostandosi inesorabilmente su posizioni moderate? Forse vale la pena ricordare che le primarie per scegliere il candidato presidente si sono celebrate, a poco più di un mese dalla presentazione delle liste nelle tredici regioni al voto, solo in Puglia. In tutte le altre regioni ha già vinto la dottrina professata dall’attuale gruppo dirigente del Pd, che si può dire con le parole di Bersani, che l’ha spiegata in modo esplicito: dipende dall’Unione di centro di Casini. L’Udc si presenta sola nelle regioni “rosse”, sta con la destra nella maggior parte delle regioni e punta all’alleanza con il centrosinistra, guarda caso, nelle due che potrebbero ospitare le centrali nucleari decise dal governo centrale, il Piemonte e la Puglia. Una traiettoria chiara, persino comprensibile per l’elettorato di Cesa e Casini. Molto meno per il maggior partito dell’opposizione parlamentare, che non ha ancora candidati in Campania, in Calabria, in Veneto e persino in Umbria. Qui in Puglia c’è un presidente in carica che, come ha detto un teso Riccardo Scamarcio ieri dal palco, ha dovuto subire un “fuoco amico” ostinato e folle da parte dei vertici del Pd.
L’anomalia andava cancellata e poco importa se, con quest’anomalia, si faceva piazza pulita di una stagione di riforme, sì riforme, che hanno cambiato la faccia di una regione per anni condannata a una maggioranza politica immancabilmente conservatrice e di destra. Le riforme dell’acqua pubblica, della stabilizzazione dei precari, delle leggi fatte per ridurre le polveri sottili vomitate dagli impianti siderurgici di Taranto, delle borse di studio per i giovani che si impegnavano a tornare nella loro terra, dei piani paesistici al posto della deregolamentazione selvaggia, della fabbrica del cinema, del contrasto all’evasione scolastica e di tanto altro ancora. Per qualcuno, questi cinque anni potevano essere cancellati, per moltissimi pugliesi no. E con loro ci sono state decine di testimonianze, appelli, attestati di fiducia provenienti da tutto il paese.
L’atmosfera che si respira in questo momento al comitato della Fabbrica di Nichi è la stesso che ci viene raccontata nelle tante telefonate che ci aggiornano sull’affluenza ai seggi e su ciò che si vede negli occhi di chi sta in fila: è un’aria febbrilmente serena. Non è con le primarie che si recupera il divorzio tra politica e popolo, ma da qui passa un po’ di ricostituente per una democrazia lesionata da troppe laceranti pratiche di autoreferenzialità.
Nella fabbrica, tanti ragazzi, che hanno vissuto questa stagione come una scoperta della politica militante, si dividono compiti e speranze, le stesse speranze e gli stessi compiti che una sinistra, non più sconfitta, può immaginare per tutto il paese.


Gennaro Migliore

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